Big data in Sanità, perché sono promessa mancata: ecco la svolta necessaria

La mancanza di una cultura sull’utilizzo dei Big Data – nonché un approccio superficiale à la mode dell’argomento – non permette ancora di creare nuovo valore nell’organizzazione dei servizi sanitari e verso il cittadino, che potrebbe ‘re-impossessarsi’ dei suoi dati di salute-malattia e ‘negoziare’ le condizioni del loro utilizzo sociale ed economico. Serve una svolta culturale ma anche istituzionale per ribaltare l’attuale approccio economicistico ai temi della sanità e della salute e superare le criticità che impediscono di trarre valore dalla miniera  di dati dei cittadini-pazienti.

I big data in Sanità

Una delle definizioni date dalla Commissione Europea sui Big Data nella Sanità, nel non lontano 2016, è ancora la seguente: “I Big Data in sanità si riferiscono a grandi set di dati raccolti periodicamente o automaticamente, che vengono archiviati elettronicamente, riutilizzabili allo scopo di migliorare le prestazioni del sistema sanitario[1]. Eppure, l’umanità, scoprendo la possibilità di disporre in tempo reale di una massa abnorme di dati e informazioni sulla salute, già dall’inizio del secondo decennio del nuovo secolo stava entrando in una nuova era. Quella descritta da Derrick de Kerckhove con pochissime parole: ‘le risposte non esistono più prima delle domande’. Fu lui a scoprire, nel 2012 dai big data estrapolati dai social, che la gente temeva più le epidemie dei terroristi. Un cambio di paradigma.

Un post sul blog dedicato ad una patologia, un’immagine di una risonanza magnetica, una prescrizione farmaceutica, un tweet, un filmato con il telefonino, il contenuto di una email: tutti questi sono dati che fanno parte della quotidianità e che possono essere rintracciati e aggregati, teoricamente in forma anonima.

Se la Web Analytics ha l’obiettivo di comprendere la macro interazione dei cittadini con il web, nelle istituzioni sanitarie l’assistito è sempre più monitorato da reti di generazione eHealth (Internet-operabili), lungo tutto il suo percorso clinico, dalla prevenzione, alla diagnosi, alla cura, al follow-up. Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) e il Taccuino dell’assistito, il Dossier Sanitario e la cartella clinica elettronica dei medici, i sistemi Cup 4.0, sono i nuovi aggregatori di questi dati, raccolti in forma dematerializzata nei repository di Asl e ospedali.

Questi flussi elettronici di nuova generazione si vengono a sommare (e presto saranno sostitutivi) a quelli ‘amministrativi’, tradizionali, come le SDO (prelevati per rendicontazione economica dalle schede di dimissione ospedaliera) o dei DRG (diagnosis-related group).

Essi, infatti, a differenza di quelli tradizionali, generati dai servizi informatici sanitari per esigenze economico-amministrative, sono dati clinici nativi digitali, prodotti da reti patient centered, cioè costruite in funzione della cura e della prevenzione delle malattie dei paziente e non allo scopo di amministrare la sanità (cioè delle ‘malattie’ del sistema sanitario!).

La miniera dei dati del cittadino-paziente

Ciò genera non uno ma due mondi sconfinati di dati dematerializzati – quelli provenienti dai social e quelli dalle reti istituzionali eHealth[2] – che hanno caratteristiche assolutamente nuove: sono centrati sul cittadino-paziente e sono confrontabili tra di loro in tempo reale. Costruendo ‘mappe orizzontali’ riferite alla popolazione e ‘mappe individuali’ sui dati del singolo paziente. Le prime per una governance real time dei sistemi sanitari locali e regionali; la seconda per una medicina personalizzata, anche comprensiva dei dati genomici.

Per fare un esempio: posso conoscere in qualsiasi istante la mappa geografica della glicemia della popolazione della città, rapportata a quella della cura dei malati di diabete, alle modalità di presa in carico del paziente, all’assistenza farmaceutica, ai tempi di attesa per visite ed esami, ai comportamenti dell’utente registrati dai Cup di ultima generazione; nonché a quelli prescrittivi dei medici, ai follow-up. Posso rapportare tutto questo con la valutazione soggettiva dei pazienti (long customer satisfaction) e l’opinione generale dei cittadini sulla patologia e i suoi rischi (percezione del fenomeno sotto l’aspetto sociale o comportamentale).

Gran parte di questi dati sono oggi già disponibili e in rete in diverse regioni italiane – come Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Trentino, Valle D’Aosta, e altre – ma non ancora utilizzati.

Creare nuovo valore dai dati sanitari: le criticità

Secondo un documento dell’IIA (International Institute for Analytics), un ingrediente essenziale per ottenere informazioni utili ai decisori è proprio legato ai criteri con cui i dati vengono acquisiti, gestiti e analizzati. Aspetti che riguardano la loro memorizzazione, la capacità di elaborarli, di associare modelli predittivi, di correlare diverse fonti di dati, anche potenzialmente eterogenee tra loro[4]. Si tratta infatti di elaborare non solo dati ‘strutturati’, già codificati presenti nei database, come sono i pochi flussi tradizionali, ma di rendere leggibili e confrontabili informazioni dematerializzate, provenienti, oltre che dai social, da canali istituzionali che ancora non utilizzano standard e codifiche necessarie per l’interoperabilità del dato. Applicando modalità che già tutti noi utilizziamo ogni giorno in internet, quando scriviamo un articolo in ‘Page’ e il nostro interlocutore lo legge con ‘Word’, ma anche utilizzando una semantica comune, affinché una ‘sigmoidoscopia’ non diventi genericamente una ‘colonscopia’.

L’analisi dei Big Data richiede quindi competenze specifiche, sforzi tecnologici significativi, potenza di calcolo e tecnologie avanzate in grado di supportare l’elaborazione di grandi file (tendenzialmente nell’ordine di petabyte di dati). Si deve poter estrarre informazioni utilizzabili in tempo reale dagli attori del sistema: medici, cittadini, manager del sistema sanitario; ma anche open operator, ciò imprenditori, spesso di start up, che lavorano sui Big Data, sulle App, per arricchire i servizi al cittadino

Su un singolo fenomeno sanitario – ad esempio una patologia oncologica o cronica – si crea una interazione funzionale tra web analytics – riferiti a dati messi in rete dai cittadini, che includono in sé un potenziale informativo particolarmente alto – dati provenienti dalle reti istituzionali della dematerializzazione della sanità pubblica di vecchia e nuova maniera. Così le informazioni del FSE interagiscono con quelle delle SDO, con il sistema CupWeb, con la cartella clinica elettronica, con i dati delle cure farmaceutiche.

Nascono grafi di condivisione delle informazioni di salute-malattia attraverso aggregatori intelligenti individuali e collettivi che ben presto rivoluzioneranno la governance del sistema sanitario. Ma anche la percezione che l’utente avrà della sanità e i suoi principali riferimenti conoscitivi al punto che lo ‘star bene’ o lo ‘star male’ individuale sarà sempre più un concetto relativizzato dalla conoscenza in tempo reale che il cittadino avrà dei dati della comunità di appartenenza.[5]

Picture 1

Principali aggregatori intelligenti dei dati di salute in funzione di un’analisi dei Big Data[6]

Una visione di ‘governance integrata’

Attraverso algoritmi di linkage e tecniche derivanti dall’analisi e dalla simulazione di sistemi complessi, di apprendimento automatico e di machine learning, i Big Data forniti dalle reti patient centered, integrati con quelli del Web, consentono di passare da una visione ‘a silos’ (di patologia in un campo ristretto di applicazione) ad una visione di ‘governance integrata’. I vari flussi offriranno la possibilità di ottenere informazioni di ausilio non soltanto alla clinical governance (appropriatezza prescrittiva, monitoraggio dei percorsi diagnostico-terapeutici, valutazione del carico assistenziale delle patologie croniche, ecc.), ma di creare un ‘empowerment erelazionale’ tra gli attori. Ad esempio, l’appropriatezza di una cura, che è un dato pluridimensionale, economico prima ancora che medico, non è più valutata in modo unilaterale (dalla componente clinica-manageriale), ma attraverso una relazione di ampia conoscenza di dati (Big Data) condivisa tra medici, utenti e manager. E ciò e premessa fondamentale per monitorare l’epidemiologia, l’andamento e la diffusione di una malattia, per effettuare previsioni e programmare interventi di prevenzione. Anche l’analisi delle caratteristiche genetiche del paziente, che permettono di rimodulare le terapie e cambiare i decorsi di quelle patologie ancora oggi senza cure risolutive, non possono essere esenti da questo ’empowrment relazionale’.

I tre campi che possono caratterizzare l’uso esteso dei Big Data

  • la ricerca scientifica per combattere le malattie;
  • la crescita dell’empowerment del cittadino in termini di conoscenza dei dati di salute/malattia della collettività (e quindi della ‘relatività’ dello stato soggettivo di salute);
  • la costruzione di una nuova governance a ‘alta comunicazione ‘ – e quindi a ‘bassa burocrazia’ – in grado di poter confrontare (e variare) in tempo reale il rapporto tra domanda e offerta di servizi per la salute.

Gli algoritmi e le tecniche avanzate di analisi consentono di:

  • personalizzare la cura per l’utente
  • personalizzare il percorso di cura (presa in carico)
  • personalizzare l’assistenza socio-sanitaria (eCare, telemedicina)
  • rivoluzionare la ricerca, soprattutto in ambito genomico
  • creare una governance locale (aziendale), regionale, nazionale in sanità real time.

Osservatorio ARNO: cos’è il repository del Consorzio Cineca

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  1. Study on Big Data inPublic Health, Telemedine and Healthcare”, European Commission, December 2016 ↑
  2. Come per social si intendono tutti tutte le forma sociali di accesso utilizzate dagli utenti in Internet – dai socialnetwork alle email, ai motori di ricerca, ecc.- così le reti e-Health rappresentano tutte le reti istituzionali della sanità (pubblica, privata, accreditata, no-profit) che raccolgono dati in funzione della cura del paziente, con modalità interoperabile (con facili protocolli di comunicazione) e generativa (non gerarchica). ↑
  3. Come sostengono numerosi studiosi e osservatori, anche esponenti politici: http://www.beppegrillo.it/la-salute-come-fonte-di-reddito/ ↑
  4. Sanzio Bassini: “Di cosa parliamo quando parliamo di Big Data?” – Magazine Cineca n.4 Dicembre 2016 ↑
  5. D. De Kerckhove sostiene la necessità della diffusione sul territorio di Living Lab aperti all’affluenza dei cittadini per un facile accesso alla conoscenza dei Big Data di salute della collettività. ↑
  6. Mauro Moruzzi – Smart Health: Matrici, road map e altri attrezzi per ri-progettare la sanità – Ed. Franco Angeli, 2017 ↑

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