Elezioni, proteggerle dalla disinformazione online: ecco le contromisure in Europa e Usa

Le elezioni europee si avvicinano, ormai manca meno di un anno. Il rischio di un sovvertimento dell’ordine esistente, dovuto al possibile trionfo dei partiti sovranisti populisti, sta spingendo gli organi di governo dell’Unione a predisporre una serie di deterrenti contro il dilagare di fake news e campagne di propaganda nascosta (filo russa, filo iraniana…) in grado di manipolare l’opinione pubblica e di influenzare l’esito del voto. A maggio 2019 le forze che puntano a ribaltare l’attuale governance saranno molto più forti rispetto al 2014, quando i partiti moderati, riformisti e democratici raggiunsero percentuali considerevoli e il Pd di Matteo Renzi superò il 40% dei consensi.

Analoghi movimenti stanno caratterizzando il dibattito negli Usa in occasione delle elezioni mid-term e coinvolgono fortemente gli over the top.

Interferenze extra-Ue nella dialettica democratica

Esiste il fondato timore di interferenze extraeuropee finalizzate ad alterare i processi di formazione delle opinioni. C’è evidentemente il rischio di compromettere la trasparenza delle azioni di propaganda elettorale. Tutti aspetti connessi con la spinosa questione della manipolabilità delle piattaforme, che pure stanno dimostrando di voler correre ai ripari per evitare di perdere credibilità e di incrinare il rapporto di fiducia con gli utenti.

Soluzioni legislative, deontologiche e tecnologiche dovranno combinarsi tra di loro per scongiurare il rischio di pervasive interferenze via web di poteri occulti nella normale dialettica democratica tra le forze politiche. Organizzazioni internazionali, Stati nazionali, colossi della Rete devono marciare uniti nella stessa direzione virtuosa del contrasto a forme strutturate di disinformazione, promuovendo sinergie pubblico-privato al servizio di un’informazione di qualità e al servizio del cittadino-utente-elettore.

GDPR e nuova disciplina della propaganda politica

In questo senso vanno lette le novità delle ultime settimane, sia sul versante delle istituzioni europee che su quello dei gestori delle piattaforme.

La Commissione Ue ha fatto sapere che presto adotterà un pacchetto di misure per evitare manipolazioni degli elettori alle prossime elezioni europee e alle altre tornate elettorali all’interno degli Stati membri. Si tratta di un’innovazione sul piano della disciplina della propaganda politica che si innesta sul nuovo quadro giuridico in materia di privacy, a seguito dell’entrata in vigore e dell’applicazione del nuovo Gdpr (Regolamento europeo sulla tutela dei dati personali). Lo ha annunciato la commissaria europea alla giustizia Vera Jourova, sottolineando di volere evitare un’altra Cambridge Analytica e di puntare ad una progressiva equiparazione tra le tutele che esistono per il mondo offline e quelle del mondo online, almeno durante le campagne elettorali. “Ero molto preoccupata dopo lo scandalo Cambridge Analytica per la nuova situazione, avendo le prove che il microtargeting e l’abuso dei dati personali possono essere utilizzati in modo efficace nelle campagne politiche -ha spiegato così Jourova le ragioni della mossa di Bruxelles- Avevo detto in primavera che questa è una cosa che non vogliamo in Europa e che l’Europa risponderà perché non vogliamo avere masse facilmente manipolabili ma cittadini con libera scelta senza essere manipolati o vittime di abuso dei loro dati personali”.

Multe ai partiti che violano le norme sulla privacy

In questo pacchetto agli Stati membri verrà raccomandato di applicare il Gdpr nel periodo pre-elettorale e saranno previste multe per i partiti politici europei che violeranno le regole sulla privacy, vale a dire che utilizzeranno la raccolta di informazioni personali in maniera non corretta per fini propagandistici. In questo modo l’Unione europea spera di prevenire nuovi scandali prima delle prossime elezioni europee di maggio, considerata la comprovata attitudine alle manipolazioni da parte di gruppi anti-europeisti o filo-russi o comunque euroscettici.

Dunque, dopo la notizia diffusa di recente sulle nuove multe da imporre alle piattaforme social tra cui Facebook, YouTube e Twitter per la loro inefficienza sulla rimozione tempestiva di contenuti che inneggiano al terrorismo, il Financial Times ne diffonde un’altra.

Secondo quanto riporta il giornale inglese, la bozza di legge Ue intende punire con multe fino al 5% del proprio budget annuo (non è escluso che la versione definitiva possa cambiare sensibilmente) i gruppi politici europei che non utilizzano il targeting dei cittadini in modo trasparente e con il dovuto consenso da parte degli elettori.

Come detto, quindi, l’Unione Europea cerca di scongiurare il rischio che si ripeta lo scandalo Cambridge Analytica, dello scorso marzo, quando la società britannica aveva utilizzato le informazioni di 87 milioni di utenti Facebook per condizionare le opinioni politiche degli elettori. Una simile norma, tuttavia, potrebbe trovare applicazione soltanto verso i partiti europei, dal momento che la Commissione non ha autorità sui partiti dei Paesi membri. Ciò significa che le larghe coalizioni – come il Partito popolare europeo, quello Conservatori e Riformisti Europei o l’Efdd – potranno essere multate se giudicate colpevoli di uso improprio di dati personali per scopi politici.

Da Bruxelles raccomandazioni ai governi

Bruxelles invierà anche raccomandazioni ai governi per impedire l’invio, da parte di gruppi politici o riportabili a gruppi politici, di messaggi personalizzati agli utenti dei social media senza il loro consenso – il cosiddetto “micro-targeting”.

“Dobbiamo cercare di capire come funzionano le campagne politiche online così come quelle nel mondo offline – ha aggiunto al Financial Times Jourova – Gli elettori e i cittadini dovrebbero sempre capire quando si trovano di fronte a una campagna online, chi la gestisce, chi la paga, cosa vogliono ottenere”.

Nonostante il targeting degli elettori online non sia illegale, l’Ue vuole che i partiti politici garantiscano che le informazioni personali raccolte da terzi siano state ottenute con il consenso esplicito degli utenti.

Manipolazione coordinata, i rimedi dei big del web

Sul fronte dei rimedi che i colossi del web stanno approntando, in una logica collaborativa e di interazione costruttiva con le autorità giudiziarie e i legislatori nazionali e sovranazionali, già ad agosto si è segnalato un episodio indicativo altresì dell’incertezza che governa il flusso dei messaggi elettorali. Facebook e Twitter, in vista delle elezioni di midterm negli Stati Uniti, il prossimo 6 novembre, hanno sospeso centinaia di profili: 652 per la piattaforma di Mark Zuckerberg, che ha dichiarato così di avere interrotto le campagne di disinformazione messe in atto da Iran e Russia tramite profili falsi, e 284 per Twitter. Che si tratti di “manipolazione coordinata” è plausibile. Facebook ha spiegato di aver rimosso dalla propria piattaforma centinaia di pagine, gruppi e account per comportamento non autentico coordinato, al fine di diffondere contenuti politici in quattro continenti, puntando in particolare a Medio Oriente, America Latina, Uk e Stati Uniti. Facebook ha già riferito tutte le informazioni di cui dispone alle autorità americane e britanniche. Poco prima Microsoft aveva chiuso ben sei siti creati da un gruppo legato all’intelligence russa. Nel mese di luglio Facebook e Instagram avevano fatto pulizia rimuovendo altre 32 pagine legate alla Russia.

Alcuni dirigenti di Facebook, Twitter, Google, Snapchat, Microsoft e altri colossi del web statunitensi si sono incontrati, nei giorni scorsi, per discutere di interferenze nelle elezioni, a riprova dell’approccio concertativo e non atomistico al problema delle fake news.

Dopo le numerose conferme di interferenza russa nel corso delle elezioni presidenziali statunitensi del 2016, i principali veicoli di diffusione delle informazioni sul web si stanno attivando per arrivare alle elezioni americane di metà mandato meglio preparati.

Il Congresso Usa e la lotta a abusi, troll e fake news

Infine, è dei giorni scorsi la testimonianza, dinanzi al Congresso a Washington, di Sheryl Sandberg, Chief operating officer di Facebook, e Jack Dorsey, amministratore delegato di Twitter, per rispondere alle domande del dell’Intelligence Committee del Senato Usa sull’uso improprio dei loro servizi da parte di agenti stranieri e sull’influenza sproporzionata delle loro piattaforme sul pensiero delle persone. I due hanno usato un approccio conciliante, dicendo che ci stanno provando seriamente, implementando gli sforzi, e che vogliono affrontare con pervicacia e dedizione i problemi di manipolazione e disinformazione.

Il Congresso degli Stati Uniti appare dunque fortemente orientato a combattere abusi, troll e fake news che possono influenzare lo svolgimento della vita politica e l’esito delle elezioni americane. I giganti della Rete, dal canto loro, intendono far conoscere gli sforzi compiuti e le strategie future per evitare che le loro piattaforme offrano spazi per un’indebita ingerenza nella democrazia statunitense.

Il gran rifiuto di Google

A quell’appuntamento, però, mancava Google, che ha preferito non mandare a Washington nessuno dei top manager e ha proposto invece il capo dell’ufficio legale, Kent Walker. La commissione del Senato ha rispedito l’offerta al mittente: le ingerenze nella politica sono una questione che i parlamentari vogliono discutere con i quadri alti responsabili delle decisioni strategiche e non con figure amministrative, dal momento che la rilevanza delle questioni sul tappeto appare innegabile e finisce per coinvolgere inesorabilmente i livelli apicali del colosso di Mountain View. Molto fredda e delusa la reazione delle autorità statunitensi, che hanno letto il rifiuto di Google come un indice di sottovalutazione del problema fake news e delle sue implicazioni sulla democrazia.

Facebook ha fatto sapere di aver attivato a luglio il nuovo NewsFeed che permette di visualizzare in una posizione più alta in bacheca gli articoli provenienti da fonti “certificate” dagli utenti. Twitter a sua volta ha rimosso – secondo quanto scritto dal Washington Post – 70 milioni di account falsi tra maggio e giugno  – più di 1 milione al giorno e il doppio di quanto fatto nei mesi precedenti.

OTT, propaganda e libertà

Infine, è notizia di qualche giorno fa, il Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg ha inaugurato una serie di post in cui illustra le strategie aziendali per contrastare l’interferenza di fake account e disinformazione nel democratico svolgimento del processo elettorale e ha ricordato che la sua azienda sta investendo pesantemente in tecnologie e personale per arginare gli abusi (lo staff preposto alla sicurezza è raddoppiato a 20.000 unità), pur nella difficoltà oggettiva di controllare tutti i materiali postati sulla piattaforma social da un miliardo e mezzo di utenti e di stabilire un equilibrio tra la libertà d’espressione e la tutela dei diritti delle persone.

Negli Usa, sia al Senato che alla Camera dei rappresentanti, sono state presentate proposte di legge che obbligherebbero le aziende di Internet a rendere pubblici i nomi degli sponsor delle ads politiche che appaiono sui loro siti, l’entità dell’investimento pubblicitario e il target di pubblico cui mirano. Ovviamente gli Over the top oppongono resistenza perché misure del genere finirebbero per limitare anche la loro libertà in Rete. Alla fine si punterà a un compromesso. Ma la questione dell’inquinamento del web e delle contaminazioni delle informazioni che offrono ai cittadini-elettori-utenti gli strumenti per esercitare scelte consapevoli nella cabina elettorale riconduce al tema più generale della responsabilità giuridica delle piattaforme di condivisione e diffusione dei contenuti.

Responsabilità giuridica degli OTT

Fermo restando che la propaganda è sempre esistita e che il web è un ecosistema attraverso cui è possibile anche fare propaganda, distorcendo opinioni, punti di vista e creando echo chambers (camere dell’eco) nelle quali gli utenti interagiscono solo con persone che la pensano come loro, attivando dinamiche pericolosamente autoconfermative e prive di apertura al contraddittorio, rimane la necessità di affrontare la questione dell’imputabilità delle condotte poste in essere nello spazio virtuale.

Mesi fa in un’aula di tribunale, in California, i legali di Facebook hanno ammesso la possibilità che quel social network possa essere inquadrato come “publisher”, in grado di selezionare i contenuti da pubblicare e veicolare e di fare scelte editoriali alla stregua di un mezzo di informazione tradizionale. Ma tra gli addetti ai lavori c’è chi si ostina a sostenere il concetto di neutralità delle piattaforme. Probabilmente per via giurisprudenziale si affermeranno nel tempo meccanismi di crescente responsabilizzazione delle piattaforme, che indurranno i legislatori a introdurre una terza figura, a cavallo tra l’editore tradizionale e il soggetto neutrale, al fine di declinare e cristallizzare nuove forme di responsabilità giuridica anche per gli Over the top.

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