Scuola digitale come Socrate: per educare alla comprensione della realtà

La sfida del sistema educativo nel confronto con il digitale è quella di passare dalla trasmissione della conoscenza alla comprensione della realtà. Comprensione che può avvenire solo attraverso l’acquisizione di capacità che abilitino i soggetti a godere liberamente di quanto disponibile per la piena autorealizzazione, esercitando, in una prospettiva responsabile, le proprie capacità/possibilità di scelta nel rispetto del bene comune (capabilities approach).

Se questo è il vero obiettivo, scopriamo una inattesa convergenza tra il ruolo digitale e l’insegnamento socratico: per educare a comprendere la realtà nel suo senso più profondo, prerequisito per avere padronanza e consapevolezza di sé stessi, del proprio ruolo nel mondo.

Digitale e gestione della conoscenza

Lo sviluppo di Internet e la sua penetrazione diffusa hanno cambiato profondamente ogni dimensione della nostra vita pubblica e privata, dal lavoro, alle relazioni affettive, dalla comunicazione, alla nostra percezione del tempo e dello spazio, al modo di produrre innovazione e conoscenza. Con l’avvento di Internet, il modo di produrre e gestire la conoscenza è profondamente mutato, grazie a uno straordinario sviluppo tecnologico che immette sul mercato strumenti sempre più versatili, capaci di fornire e gestire quantità crescenti e diversificate di informazioni, attraverso una varietà di codici comunicativi (audio, video, scrittura ecc.). I sistemi di condivisione e comunicazione digitali si presentano come tecnologie ad alta densità socio-relazionale che, oltre a ridefinire la dimensione spazio-temporale, gettano il presupposto per nuove occasioni di progresso.

Potenzialità e criticità della transizione

Una ricognizione delle esperienze di applicazione degli strumenti Web 2.0 al contesto educativo dimostra il peso crescente della cultura partecipativa e dell’apprendimento informale. Questo conferma non solo le potenzialità ma anche le criticità di una transizione che mette in discussione sia il setting educativo tradizionale sia il ruolo dell’insegnante, sia il modo di pensare, progettare e realizzare l’offerta formativa complessiva e gli ambienti educativi e professionali all’interno dei quali la professionalità docente, nella sua complessità, si esprime. La questione metodologica resta il fattore dirimente per il successo formativo anche (e forse soprattutto) in presenza delle nuove tecnologie che non sono mai la panacea per la risoluzione di ogni problema. In passato gli interventi di aggiornamento e formazione di strutture e personale scolastico in materia di ICT hanno avuto approcci tipicamente “tecnologizzanti” e “incorporanti”, con il risultato che i docenti nel nostro paese apprezzano e usano la tecnologia, ma la portano raramente in classe; in anni più recenti si è agito in favore di una più netta rottura degli schemi didattici tradizionali ma con interventi di piccola scala. In questa direzione, è importante intercettare e valorizzare le spinte di innovazione e riflessione critica che si muovono all’interno

Docenti analogici vs. docenti digitali

L’indagine esplorativa ‘Le sfide della scuola nell’era digitale. Una ricerca sociologica sulle competenze digitali dei docenti’ (Eurilink, 2017) ha cercato di intercettare le spinte di rinnovamento che si generano all’interno della scuola attraverso il coinvolgimento di oltre mille docenti che hanno liberamente partecipato a una survey on-line (realizzata tra il 15 gennaio e il 31 marzo 2015) volta a ricostruire il loro uso del digitale nella pratica didattica quotidiana. L’esito di questa ricerca ha consentito di distinguere due gruppi di docenti che abbiamo definito sulla base del loro utilizzo delle ICT in classe. Il gruppo più numeroso è quello che abbiamo definito analogici (60,9%) e comprende quei docenti che testimoniano di fare uno scarso uso di tecnologie digitali a fini didattici; mentre il gruppo che abbiamo definito digitali (39,1%) raccoglie gli insegnanti che ne fanno un uso spinto. Pur trattandosi di un’indagine esplorativa è interessante vedere che i molti investimenti in tecnologie degli ultimi anni non hanno prodotto grandi cambiamenti in termini di approccio alla didattica. Tra le motivazioni addotte per spiegare questo scarso utilizzo ricorre il deficit dotazionale e infrastrutturale (mancanza/obsolescenza di tecnologie; assenza di aule multimediali, problemi di rete; problemi di ordine finanziario; assenza/cattiva distribuzione delle risorse, assenza di assistenza tecnica). I docenti analogici in percentuale maggiore evidenziano una inadeguatezza della formazione specifica e la mancanza di un riconoscimento giuridico/istituzionale dell’attività svolta; mentre i docenti digitali sono più sensibili ai problemi di inerzia organizzativa, la resistenza dei colleghi e la mancata collaborazione degli stessi nel processo di innovazione della didattica.

Esperienza didattica e capacità di innovare

Dall’esame della distribuzione dei cluster entro la fascia d’età, non vi sono grandi differenze rispetto alla distribuzione dei due gruppi sull’intero campione, tranne che per i docenti nella fascia d’età oltre i 60 anni, i quali si collocano in netta predominanza nel cluster analogici con il 73,6%; mentre coloro che appartengono alla fascia d’età che va dai 51 ai 60 anni fanno registrare qualche punto percentuale in più a favore del cluster digitali (42,9%). Il dato conferma come la giovane età non sia sinonimo di docente innovatore, lasciando ipotizzare una maggiore propensione all’innovazione in quei docenti che hanno maturato più anni di servizio e dunque una maggiore esperienza didattica e una competenza più spiccata nel governare i processi. Del resto si può produrre innovazione solo rispetto a ciò che si conosce in maniera approfondita e complessiva. Rispetto al genere, i docenti uomini si distribuiscono nei due cluster quasi a metà (digitali: 48,6%, analogici: 51,4%); mentre le insegnanti donne confermano la loro concentrazione nei cluster dei docenti analogici con il 63%. I docenti uomini rappresentano d’altra parte il 38,9% dei docenti del campione impegnato nelle materie tecnico-professionali, discipline che raccolgono un’alta percentuale di docenti digitali (57,6%), rispetto alla distribuzione dei cluster sull’intero campione. Si può ipotizzare che la maggiore propensione dei docenti uomini all’utilizzo delle ICT in classe possa essere collegata anche alle discipline insegnate.

La ricerca mostra che sebbene ci sia, complessivamente, una certa apertura mentale nei confronti dell’utilità delle tecnologie digitali nella didattica, non emerge un automatico trasferimento del sapere pratico acquisito nell’esperienza extrascolastica. Per molti il digitale rappresenta un’alternativa che, seppur valida sotto molti aspetti, fatica a essere incorporata nei processi di relazione e di costruzione di una professionalità rinnovata.

Oltre le competenze digitali

Al docente che si confronta con le potenzialità offerte dalla rete è chiesto sempre più di abbandonare il ruolo di speaker, colui che si limita a trasmettere il contenuto all’interno dello spazio protetto dall’asimmetrica relazione tra docente e studente, per assumere quello di tutor, mentore, coach caratterizzato da una presa in carico diretta e personale di una relazione paritaria. Una relazione dove docente e studente sono co-protagonisti di un percorso di crescita condiviso. Questo è un ruolo che richiede nuove e più complesse competenze di natura progettuale, gestionale, valutativa, comunicativa, relazionali ed empatiche, perché si sviluppa in un quadro di relazioni paritarie finalizzate all’empowerment del soggetto e si fonda sul principio di una comunicazione emancipativa, trasformativa, autentica e congruente (Rogers, 1970; May, 1989), secondo le regole del dialogo socratico, in cui il docente gioca un ruolo di facilitazione del processo di apprendimento, superando la mera trasmissione dei contenuti.

Il nodo della formazione dei docenti

E’ la sfida di sempre. Cambiano gli strumenti, le tecnologie, le soluzioni ma la mission originaria resta sempre la stessa. Se ben compresa e valorizzata la tecnologia può diventare un alleato del docente nel restituire dignità al ‘mestiere di insegnare’ che non è un mestiere che ‘si fa ma è un mestiere che si è’. Il senso originario dell’insegnare richiama l’immagine del ‘signare’, incidere, ‘imprimere segni nella mente’ attraverso un gioco cooperativo che si fa insieme “perchè mi puoi insegnare ma non mi puoi imparare”, con o senza tecnologia. Questo significa che, così come cambiano gli obiettivi educativi della scuola e il modo di tradurli in pratica, deve cambiare il modo di rilevare i bisogni di formazione professionale e personale di quanti in questi ambienti sono chiamati a lavorare e, di conseguenza, le modalità e i luoghi attraverso cui queste stesse persone possono trovare occasioni di formazione adeguata per lo sviluppo della loro teaching agency.

Adeguare le agenzie educative al cambiamento passa soprattutto dalla consapevolezza che l’innovazione digitale a scuola è prima di tutto una questione di digital and education policy che non può essere banalmente reinviata alla responsabilità del docente o a questioni tecnologiche. E che seppure non possiamo ignorare il digitale per vivere nella complessità contemporanea abbiamo ancora bisogno di Socrate per comprenderla.

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L’innovazione digitale nelle scuole italiane

La Commissione Europea richiama le agenzie educative a una grande sfida, quella di sviluppare nei soggetti adeguate competenze digitali mediante politiche di lifelong wide learning finalizzate a recuperare il gap digitale nel confronto con i player internazionali che detengono la leadership in questo settore. L’assenza o la difficoltà di accesso alla rete e ai dispositivi digitali è certamente un ostacolo da tenere in debita considerazione nei percorsi di integrazione delle ICT nei processi di insegnamento e apprendimento, ma non è il solo. Per far fronte ai ritardi rilevati, l’Italia, come gli altri Stati membri dell’Unione Europea, ha predisposto negli ultimi anni diverse iniziative e progetti per diffondere l’innovazione digitale nelle scuole. In particolare, a partire dal 2008, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ha realizzato il piano “Scuola Digitale”, rafforzato dal Piano eGov (2012) che individuava nella scuola il primo degli obiettivi settoriali con l’intento di incrementare l’efficacia e l’accessibilità dei sistemi di istruzione, semplificare le relazioni scuola-famiglia e introdurre strumenti di cooperazione e monitoraggio per ottimizzare l’offerta formativa e contrastare il disagio giovanile. In sinergia con l’Agenda Digitale Italiana 2014-2020, che rappresenta l’insieme di azioni e norme per lo sviluppo delle tecnologie, dell’innovazione e dell’economia digitale, nel quadro della strategia Europa 2020, è stato introdotto il nuovo “Piano Nazionale Scuola Digitale” (2015), volto a definire un sistema complessivo per promuovere l’innovazione della scuola italiana e assicurare un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale. La legge 13 luglio 2015 n. 107, “Riforma del sistema nazionale d’istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”, pur con molte criticità, ha dato continuità a questa azione.

Bibliografia

May R. (1989), L’arte del counseling, Astrolabio, Roma.

Rogers C. (1970), La terapia centrata sul cliente, Psycho, Firenze.

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